L’inflazione in Europa, in particolare in Italia, è in deciso calo per il mese di giugno e si attesta al 6,4%, rispetto all’11,8% registrato ad ottobre 2022.
Allo stesso tempo, notiamo che non tutte le nazioni europee si muovono in modo uguale nella loro traiettoria di contenimento dell’inflazione.
Christine Lagarde ovviamente dovrà gestire tutti questi interlocutori che stanno vivendo condizioni inflattive differenti, considerando che, a livello medio, l’inflazione dell’area euro si attesta al 5,5% e questa è quella che viene chiamata headline inflation, ovvero l’inflazione omnicomprensiva di tutti i panieri.
L’inflazione core ha invece continuato a salire nonostante il picco della headline inflation toccato ad ottobre ed ha iniziato a calare solo recentemente, con anche un andamento che ha visto delle interruzioni in questo calo l’inflazione core.
L’inflazione core è di tipo strutturale ed è solitamente maggiormente influenzante sulle politiche monetarie perché permette di vedere meglio la linea tendenziale di evoluzione dell’inflazione, eliminando fenomeni di volatilità di breve e medio periodo che invece si possono vedere con la headline inflation (per colpa della volatilità degli alimentari e dei prezzi dell’energia).
Banca d’italia prevede crescita zero nel secondo trimestre e forte frenata dell’inflazione solo dal 2024.
A causare la frenata sono state la contrazione della manifattura e i ritmi più contenuti dei consumi. Finanziare l’acquisto di un immobile è inoltre molto più costoso per colpa del costo del denaro aumentato. I servizi reggono decisamente meglio rispetto alla manifattura che è in profondo calo.
Si ripete spesso per la “soluzione” ai prezzi alti, sono i prezzi alti, ma a fronte di stipendi che rimangono uguali. Vuol dire che il potere d’acquisto delle famiglie si riduce spiacevolmente. Questo si porta dietro un calo dei salari in termini reali, cioè al netto dell’inflazione e l’Italia è la peggiore in area OCSE (7,5% al termine del 2022)
Il PMI Purchasing Manager Index, ovvero l’indicatore dei direttori acquisti, misura gli acquisti effettuati dalle aziende di materie prime, ovvero quello che è necessario all’azienda per produrre i beni e servizi. Se l’indice cala, è ovvio che ci si aspetta contrazione economica a breve termine.
Negli stati uniti i consumi hanno retto, nonostante tassi di interesse che sfiorano il 5%. Il rischio per le banche centrali è che, se riducessero i tassi di interesse subito, potrebbe comunque persistere un’inflazione a questi livelli.
Discorso analogo anche in zona euro e quindi, ormai, dovremmo esserci rassegnati che per luglio è previsto un altro rialzo dello 0,25%, con potenziale ulteriore aumento anche a settembre.
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Alcune aziende anche dette zombie company, società che potevano reggere un debito importante con i tassi erano bassi, adesso hanno grosse difficoltà a ri-negoziare i finanziamenti. Come abbiamo ribadito, le banche, per ridurre il rischio insolvenza, devono restringere ulteriormente l’accesso al credito, alimentando un circolo vizioso di credit crunch (stretta creditizia) e fallimenti di imprese.
Nel credito al consumo e quindi debito contratto da famiglie, si parla spesso della surroga, tecnicamente fattibile se si possiede un mutuo da rinegoziare, ma in queste condizioni c’è un tema di maggiore prudenza nei criteri di erogazione del credito da parte delle banche e anche qui si può innescare un meccanismo vizioso di stretta creditizia.
Svariati economisti sostengono che la strategia di rincorrere l’inflazione in circostanze eccezionali come quella che stiamo vivendo oggi, può produrre degli effetti non lineari, quindi con una forte componente di imprevedibilità o di deterioramento che si manifesta non in modo prevedibile, bensì in modo veramente esponenziale e quindi velocissimo, che rischiano di innescare una recessione senza che ve ne sia un motivo razionale, in particolare in Eurozona.