Passata ormai l’enorme ondata di liquidità e l’era dei tassi bassi, gran parte degli investitori hanno abbandonato tutti quei comportamenti poco convincenti quali operare in maniera eccessiva in termini di volumi su tutte le asset class (mossi da un guadagno in realtà dovuto ad una salita generale dei mercati) ed all’acquisto di azioni particolarmente rischiose e poco forti dal punto di vista fondamentale, spesso in portafogli molto concentrati il cui guadagno (solamente) immediato ha mascherato fin troppo i rischi di bassa diversificazione che poi si sono palesati.
Ad oggi, finito l’effetto Dunning Kruger, è più solito vedere un portafoglio di medio/lungo termine composto da ETF o da aziende ad alta capitalizzazione che, grazie a quest’ultima, al vantaggio competitivo, ai numerosi paesi in cui operano ed alle numerose attività svolte, presentano una diversificazione molto più alta di quanto effettivamente percepito.
Chi vuole ugualmente concedersi operatività di carattere speculativo, è tuttavia solito ritagliarsi un portafoglio satellite, ovvero una porzione di portafoglio di piccole dimensioni (15-20% di capitale) in cui eseguire operazioni mediamente più rischiose (rispetto al portafoglio principale definito core). Eppure, senza i dovuti accorgimenti, il portafoglio satellite può facilmente far sottoperformare l’intero portafoglio ed essere anche molto inefficiente a livello fiscale.
Per chi partisse ancora più dalle basi, si consiglia la lettura dei bias principali sugli investimenti.
Riveliamo anticipatamente che gli spunti operativi interessanti sono posti a fine articolo e che la prima parte può sembrare molto avvilente, ma è bene mettere subito in risalto tutti i comportamenti fallaci per poi solo alla fine mettere in risalto ciò che può funzionare veramente.
Vediamo vari stratagemmi utilizzati ed applicati a questa somma satellite per ottenere (o cercare di ottenere) una sovra-performance rispetto al portafoglio principale.
Per quanto sembri banale, la prima strategia (spesso poco funzionante) è quella di utilizzare quella somma di liquidità messa da parte per fare acquisti quando il mercato scende. Il problema principale è che non vi sono delle metriche che permettono di predire in maniera ripetibile quale importo percentuale debba avere un calo affinché sia sensato effettuare acquisti aggiuntivi.
Sappiamo che in un benchmark ben diversificato, più il calo è importante, maggiori sono le possibilità di rendimento offerte in caso di acquisto ad un prezzo di mercato minore.
Sappiamo anche però che tenere ferma la liquidità per acquisti futuri ha un costo, il costo di tenerla ferma e non investita appunto.
Se è nostra abitudine comprare dopo 2-3 sedute negative, è sufficiente una correzione del 10% per vanificare totalmente la nostra tesi e mandarci a corto di liquidità.
In maniera opposta, se si attendono costantemente correzioni importanti, la liquidità detenuta (che non ha fruttato), ha un costo decisamente eccessivo sul nostro portafoglio totale ed anche un’entrata ad un prezzo molto vantaggioso potrebbe non giustificare detenere molta liquidità in attesa di occasioni che si presentano in maniera poco frequente.
La rete è piena di statistiche sul verificarsi di eventi sui mercati finanziari, accomunate tutte da un solo fattore: conoscere la probabilità media dell’accadersi di un evento, non rende affatto l’idea di come l’effettivo verificarsi di tale evento sia distribuito in maniera totalmente discontinua.
Prendiamo il mantra delle occasioni di acquisto: l’acquisto dopo una correzione.
Sappiamo che, statisticamente, dal 1980 al 2022, si sono verificate in media 1,2 (uno virgola due, a scanso di equivoci) correzioni per anno.
La statistica può indurre nell’errore di pensare che convenga stare liquidi man mano che l’ultima correzione verificatasi si allontani e che, con una media di 1,2 correzioni all’anno, il momento più favorevole per detenere liquidità sia poco meno di un anno dal verificarsi dell’ultima correzione.
Purtroppo, se analizziamo la distribuzione dell’evento, vediamo che non sempre la statistica è dalla nostra parte.
Si sono infatti verificate 8 correzioni dei primi anni del 2000 ed una quasi completa assenza di correzioni negli anni 90. Questi eventi, o meglio, come sono distribuiti, vanificano totalmente qualsiasi tentativo di “tirare” una media.
Come già detto, sappiamo che la distribuzione non uniforme degli eventi non ci permette di fare market timing in maniera proficua. Tuttavia, si può benissimo prendere per buono il fatto che la probabilità che si verifichi un evento avverso è inversamente proporzionale alla sua gravità. Questo ci lascia senza dubbio comprendere che la probabilità di crolli è decisamente più bassa delle correzioni. Ne consegue che se attendere correzioni è già di per se costoso, attendere crolli è ancora più avvilente. Se consideriamo l’opportunità persa per non aver investito (e quindi detenendo liquidità) e ci mettiamo anche l’interesse composto che dopo qualche anno inizia a farsi sentire, è probabile che diventi molto avvilente essere stati troppo liquidi a fronte di orizzonti temporali di investimento particolarmente lunghi.
Ma prima ancora, un crollo, almeno dal punto di vista puramente matematico, è una correzione che ha deciso di non fermarsi. Avremmo dovuto quindi non acquistare la correzione stessa ed attendere il crollo, contravvenendo alle nostre regole autoimposte.
Nel caso di un piano di accumulo, incrementare l’importo mensile a seguito di cali e ridurlo a seguito di importanti guadagni (value averaging), può nel breve aiutare a generare extra rendimento ed a ridurre la volatilità di portafoglio. Tuttavia, sappiamo che nel lungo termine la lump sum, ovvero un investimento in un’unica somma tenuto a lungo termine, riesce già di per se a battere un piano di accumulo. Per corollario, un piano di accumulo in competizione con un lump sum, dovrebbe forzare il risparmio al massimo delle nostre disponibilità. “Tenersi a bada” se il mercato guadagna troppo è l’esatto opposto di forzare il risparmio e nel lungo termine deteriora i rendimenti attesi.
Gli eventi avversi non vengono mai considerati accademicamente parlando, l’ipotesi quindi di investire appena prima di un crollo (e che quindi convenga un piano d’accumulo rispetto alla lump sum) non viene considerata poiché si tratta di un evento non prevedibile per quanto possibile.
L’unica operazione sensata, tolte le limitazioni tecniche e di rischio, sarebbe investire periodicamente al pieno delle proprie possibilità ed eventuali acquisti successivi eseguirli mediante soldi a margine o derivati, in modo da sovraesporre quando il mercato perde e continuare a investire pienamente senza usare margine o leva anche quando il mercato guadagna o lateralizza.
Tuttavia, derivati, margine e leva finanziaria sono inadatti a gran parte degli investitori a seguito di volatilità insopportabile per gran parte degli investitori e di caratteristiche tecniche particolarmente penalizzanti nell’uso del margine (costi di finanziamento) e dei derivati (rischio emittente e deterioramento posizioni a seguito di rolling sui contratti futures).
Se ben pochi sono disposti a detenere poca o zero liquidità, ancora in meno saranno disposti a sovraesporsi investendo di fatto soldi che non hanno.
Il portafoglio satellite short è una soluzione che, per via della forte presenza di contenuti su giornali e media che molto focalizzati su correzioni e crollo di mercati, resiste in maniera silenziosa e riduce (spesso) i rendimenti, tra investitori a suon di ricerca di rintracciamenti su indici e pericoli di short squeeze su azioni che sembravano aver preso un trend ribassista.
Lo short su indici segue grosso modo le stesse identiche considerazioni in termini di distribuzione degli eventi nel corso del tempo:
Lo short di azioni singole è forse ancora più pericoloso e le fallace logiche sono principalmente 2:
Quando si assume un determinato comportamento operativo che pare funzionare, ricordiamoci che le condizioni di mercato possono cambiare in maniera molto drastica. Se si rimane fedeli alle proprie convinzioni errate, si può perdere capitale molto facilmente. Periodi nei quali la nostra strategia non viene rispettata ma poi confermati poco dopo, possono dare l’idea che la nostra strategia sia infallibile.
Se si abbandona un’operatività che fa perdere denaro ma ci si continua a soffermare ed arrabbiarsi sui casi in cui questa funziona (e quindi sulle occasioni mancate, avendola abbandonata), è probabile che la nostra operatività sia vittima di un bias cognitivo.
Shortare azioni in base alla media dei P/E storici potrebbe improvvisamente smettere di funzionare a seguito di un aumento del P/E generale di mercato o semplicemente perché il mercato ha deciso di premiare un’azione in maniera folle.
Alcuni operatori si sono immedesimati in un’operatività piuttosto bizzarra e pericolosa: filtrare le small-cap che nella seduta odierna stavano guadagnando percentuali a due cifre (a seguito di notizie particolari) per poi shortarle, puntando sul calo derivante dalle prese di profitto degli investitori.
Inutile dire che non avrebbe funzionato farlo con Gamestop o Kodak.
Ricordiamo inoltre che, salvo stop loss imposto dal broker, le perdite dello short possono superare il capitale investito.
Nel caso in cui avete un portafoglio satellite, è bene assicurarsi di avere nel vostro portafoglio principale anche qualche strumento più versatile e che possa compensare le minusvalenze.
Abbandonare l’operatività satellite lasciando minus lascia sempre il desiderio di recuperarle inventandosi strategie più o meno fantasiose che possono peggiorare la situazione. Meglio correre ai ripari lasciando lo zainetto fiscale pulito e ricominciano un PAC con quanto appena fatto vendendo gli strumenti.
Il discorso è ancora peggiore nel caso di posizioni short andate male. Se avete perso denaro con lo short dopo una bull run inaspettata, qualcuno potrebbe non voler vendere successivamente qualche posizione del portafoglio principale, quando in realtà la situazione lo renderebbe effettivamente ragionevole.
Come già detto, se vendete ETF o Fondi del portafoglio principale, non è possibile recuperare minus. Ciò è molto fastidioso in quanto porta a non voler consolidare qualche guadagno dopo una forte risalita. Una correzione fisiologica potrebbe verificarsi e rovinare ulteriormente la performance di portafoglio.
Se si intende vendere qualcosa che si pensa abbia guadagnato troppo, ci si deve spostare su qualcosa che abbia rendimenti attesi futuri maggiori.
Sulle strategie settoriali, acquistare un ETF o un ETP settoriale particolarmente penalizzato può richiedere molto più tempo del previsto e presenta delle commissioni di gestione elevate giustificate dalla settorialità.
Troppo spesso però le aziende presenti che concorrono all’effettivo andamento sono aziende già ad alta capitalizzazione e con prospettive di crescita inferiori rispetto alle small cap. La settorialità, in questo caso, è giustificata dal fatto che le mega-cap spendono molto in ricerca. Si potrebbe incappare in prodotti settoriali con rendimenti attesi decisamente deludenti considerata la specificità del prodotto.
Attenzione particolare agli etf tematici che sono ancora più specifici dei settoriali e, oltre al rischio di concentrazione possono incorporare azioni con fondamentali molto scarsi.
Anche un’azienda fortemente penalizzata ma con buoni fondamentali e reputazione potrebbe impiegare molto tempo prima di riapprezzarsi (o non farlo mai più), fortunatamente vedremo una strategia per ovviare al problema successivamente, se si è interessati a guadagnare esposizione su una specifica azienda singola.
Altrimenti, meglio un portafoglio satellite composto da almeno una decina di azioni sostenute da fondamentali.
Vediamo ora qualche spunto di investimento, ricordando che quanto scritto non costituisce in nessun modo consulenza o consiglio di investimento.
Se si vuole guadagnare esposizione su un’azione ma si vuole ridurre il rischio di perdite derivante dal deprezzamento, si può usare un Certificato di investimento come ad esempio un Cash Collect.
Riassumendo, in scenario positivo/neutro/leggermente negativo si percepiscono ottime cedole anziché prendere direttamente l’andamento dell’azione (si guadagna in maniera più costante con capitale invariato anche se il titolo lateralizza o perde fino a barriera).
Risulta un ottima idea se si ha convinzione su un determinato sottostante ma si vuole spalmare il rendimento su scenari di mercato più ampi.
Se un indice è particolarmente concentrato a seguito di un rialzo consistente ma si intende comunque continuare ad entrare a mercato (magari perché si è stati in grado di risparmiare ulteriormente), comprare lo stesso indice che si ha nel portafoglio principale ma in versione equal weight può essere un’idea.
La copertura valutaria non è quasi mai un’idea particolarmente allettante sul lungo termine poiché l’andamento dei cross valutari, salvo quelli di valute emergenti e rischiose, non offre direzionalità, rimanendo sempre in un trading range poliennale.
La ripartizione del portafoglio è stata sempre una determinante per rispettare correttamente il proprio profilo di rischio, ma è inutile dire che il mercato ha penalizzato decisamente i portafogli con forte componente obbligazionaria negli ultimi tempi, portando ad una correlazione molto elevata tra azionario ed obbligazionario.
Al vendere obbligazioni e comprare azioni quando i tassi sono bassi, aggiungiamo una variante: le obbligazioni a tasso variabile. Un’obbligazione a tasso variabile (come un CCT, ad esempio) in grado di pagare un rendimento minimo + EURIBOR, può sicuramente aiutare in caso di futuro aumento dei tassi.
Questo perché stiamo agendo in qualità di creditori ed abbiamo tutto l’interesse che i tassi aumentino su un prodotto a tasso variabile. Attenzione a non confondersi nel caso dei mutui!
Come detto prima, il value averaging non riesce a battere il mercato se, in fase di guadagni del mercato, si riduce l’investimento sotto le proprie capacità effettive di risparmio.
Se l’obiettivo è ridurre la volatilità a breve termine, lo si può comunque applicare in maniera serena.
L’unico value averaging in grado di battere il mercato, è quello che prevede di investire pienamente i propri capitali a prescindere dall’andamento di mercato e sovraesporre quando il mercato diminuisce utilizzando margine o derivati.
Come già detto, questa operazione è molto rischiosa e non dovrebbe essere messa in pratica da clientela poco esperta.